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Obbligo del POS per i liberi professionisti. Un provvedimento sensato ?

Dal 1 luglio 2020 non ci saranno più sconti per i professionisti che non avranno installato un POS presso il proprio studio. Si tratta di una norma che appare davvero insensata laddove molti studi professionali ricevono regolarmente i pagamenti degli onorari a mezzo bonifico o tramite assegno bancario. Molti studi pertanto posizioneranno il POS su uno scaffale quale bizzarro soprammobile da spolverare periodicamente.   Giova ricordare  che la detenzione del POS comporterà il pagamento di un canone annuale agli Istituti di credito concedenti che varia dai 360 Euro ai 500 Euro annui.  Cui prodest ? La risposta è semplice: al sistema bancario nazionale che in questi ultimi anni non ha davvero brillato avendo prodotto pesanti perdite di esercizio e collezionato svariati fallimenti.  https://www.theitaliantimes.it/economia/obbligo-pos-professionisti_191119/

Scudo fiscale e protezione per il “dominus” di una Società di capitali.

L’utilizzo dello scudo fiscale comporta la preclusione di ogni accertamento tributario e contributivo sulle somme o le altre attività dichiarate dei contribuenti e dei soggetti solidalmente obbligati, limitatamente ai periodi d’imposta per i quali non è ancora decorso il termine per l’attività di accertamento. [1] 

L’accertamento può riguardare esclusivamente gli imponibili eccedenti le somme indicate nella dichiarazione riservata.

Lo scudo fiscale estende la sua protezione alle società di capitali di cui il contribuente che sceglie di sanare i capitali all’estero è il “dominus”, ovvero colui che esercita il controllo effettivo della stessa società.  A riguardo la circolare n. 43/E/2009 dell’Agenzia delle entrate, a chiarimento dell’art. 14 del D.L. 25 settembre 2009, n. 250,  informa che le operazioni di rimpatrio o di regolarizzazione effettuate da una persona fisica non po­tranno essere utilizzate per far partire un accertamento fi­scale o anche semplicemente nell’ambito di un controllo avviato magari per motivi di­versi nei confronti di una so­cietà di capitali di cui quel contribuente è il dominus.  Per “dominus” si intende, con un ter­mine latino, colui il quale esercita il con­trollo sull’azienda, come azio­nista di maggioranza o riferi­mento, oppure come ammini­stratore;

Si tratta, in definitiva, di una disposizione che non agisce sul piano degli effetti dell’emersione, disciplinati dal comma 4 dell’articolo 13-bis del decreto, ma che mira ad evitare che lo scudo possa essere utilizzato a sfavore del contribuente ai fini dell’accertamento di violazioni tributarie per le quali non valgono gli effetti dello scudo stesso.  Pertanto le operazioni di rimpatrio o di regolarizzazione effettuate dal dominus di una società di capitali non possono essere utilizzate ai fini dell’avvio o nell’ambito di un’attività di controllo fiscale nei confronti della medesima società.

 

I.            Le norme che regolano lo “ scudo fiscale ”

Si ritiene opportuno riportare le norme che disciplinano lo “ scudo fiscale ” utilizzato.

Innanzitutto l’articolo 13 bis del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78, al comma 4 dispone che: “ l’effettivo pagamento dell’imposta produce gli effetti di cui  agli articoli 14 e 15 e rende applicabili le disposizioni di cui all’articolo 17 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n.  409,  e  successive  modificazioni”.

Inoltre l’art. 14 del D.L. 25 settembre 2009, n. 250 prevede che:  “ 1. Salvo quanto stabilito dal comma 7, il rimpatrio delle attività finanziarie effettuato ai sensi dell’articolo 12 e nel  rispetto  delle modalità di cui all’articolo 13:

a)       preclude nei confronti  del  dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati, ogni accertamento tributario e contributivo  per  i periodi d’imposta per i quali non è ancora decorso il termine per l’azione di accertamento alla data di entrata in vigore del presente decreto, limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio;

b)       estingue le sanzioni amministrative, tributarie e previdenziali e quelle previste  dall’articolo 5 del decreto-legge  n.  167  del  1990, relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate;

c)       esclude la punibilità per i reati di cui agli articoli 4 e 5  del decreto legislativo  n.  74  del  2000,  nonché per  i  reati  di  cui  al decreto-legge  n.  429  del  1982,  ad   eccezione   di   quelli   previsti dall’articolo  4,  lettere  d) e f), del predetto decreto n. 429, relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate”.

 

II.            Irrilevanza del termine di trenta giorni per l’esibizione della dichiarazione riservata.

Si rileva, riguardo il preteso  obbligo di esibire la dichiarazione riservata nel termine di trenta giorni dalla notifica di un atto di accertamento previsto dalla Circolare n. 43/E del 10/10/2009, che la giurisprudenza tributaria ha costantemente ribadito che detto termine non è previsto da alcuna norma.  Di seguito si riportano alcune di queste sentenze.

. “ E’ illegittimo l’accertamento emesso dall’Ufficio nei confronti di un contribuente che si è avvalso del rientro dei capitali all’estero (c.d. scudo fiscale), anche se questi non comunica all’ufficio, entro 30 giorni, l’avvenuta adesione alla sanatoria.  L’introduzione di un termine per il riconoscimento degli effetti dello scudo non è legittima ma rappresenta un addendum che il legislatore non ha evidentemente voluto, nulla essendo disposto al riguardo né nel decreto istitutivo né nella legge di conversione ”.  [ sentenza 187 del 2 ottobre 2011 Ctp di Livorno ]

L’obbligo di esibire la dichiarazione riservata entro i successivi 30 giorni dal ricevimento dell’atto non è sancito da alcuna norma di legge, con la conseguenza che nulla vieta che lo scudo possa essere esibito anche successivamente. [ Sentenza 41/05/11 della Ctp Pordenone ]. In tal senso anche la sentenza 76/01/12 della Ctr Friuli Venezia Giulia.

 Si tratta di una disposizione recata da una circolare ministeriale (la 43/E del 10/10/09 diramata dall’Agenzia delle Entrate) che introduce un termine per la validità della sanatoria non previsto dalla normativa che disciplina la materia, e che, come tale, non può riverberare i suoi effetti nei confronti del contribuente.  In via generale, infatti, le circolari non possono contenere norme di diritto, ma sono piuttosto qualificabili come atti unilaterali dell’Amministrazione, la quale non ha poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute, riservata al legislatore e per questo motivo non vincolano né i contribuenti né i giudici e non costituiscono fonti di diritto.

 

III.            Estensione degli effetti della clausola di salvaguardia alle società

In base all’art. 14 godono della copertura offerta dallo scudo fiscale, seppur limitatamente agli imponibili riconducibili alle attività patrimoniali o finanziarie oggetto di emersione, i soggetti ad esso solidalmente obbligati.

La possibilità di estendere gli effetti della «clausola di salvaguardia» alle società, anche di capitali, è condivisa dalla stessa Agenzia delle entrate, che per il tramite della Circolare n. 43/E del 2009 dispone che  “Ai soli fini tributari, si ritiene che tale divieto valga con riferimento non solo al contribuente che ha effettuato le operazioni di emersione, ma anche a quelli concernenti soggetti riconducibili al contribuente stesso in qualità di dominus”.

La predetta circolare, al paragrafo 10 “Effetti del rimpatrio e della regolarizzazione”, afferma espressamente: “ l’effettivo pagamento dell’imposta straordinaria produce gli effetti  di cui agli articoli 14 e 15  del  decreto  legge  n.  350  del  2001  e  rende applicabili le disposizioni di cui all’articolo 17 del medesimo decreto. In linea generale, è prevista l’inibizione dei  poteri  di  accertamento dei  competenti  uffici  in  materia  tributaria  e previdenziale, nonché l’estinzione delle  sanzioni  amministrative,  tributarie  e  previdenziali relative alle disponibilità delle attività emerse. In particolare, limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio o regolarizzazione, è inibita l’attività  di  accertamento tributario e contributivo relativa ai periodi d’imposta che hanno termine al 31 dicembre 2008. Ciò vale non soltanto per le attività esportate dall’Italia, ma anche per quelle comunque costituite direttamente al di fuori del territorio dello Stato, a fronte, per  esempio, del conseguimento di un reddito erogato all’estero. … Gli accertamenti sono preclusi anche con riferimento a  tributi  diversi dalle imposte sui redditi, sempreché si tratti di accertamenti relativi ad “imponibili” che siano riferibili alle attività oggetto di emersione. A tal fine si precisa che la preclusione opera  automaticamente,  senza necessità di prova specifica da parte del contribuente, in tutti i  casi  in cui sia possibile, anche astrattamente, ricondurre gli imponibili  accertati alle somme o alle  attività costituite all’estero oggetto di rimpatrio. Conseguentemente, l’effetto preclusivo dell’accertamento può essere opposto, ad esempio, in  presenza di contestazioni basate su  ricavi  e compensi occultati. Si evidenzia che l’effetto preclusivo  dell’accertamento,  tenuto  conto delle finalità generali del provvedimento, può altresì essere opposto anche nei confronti di accertamenti di tipo “sintetico”, come nell’ipotesi  di contestazione di un  maggior reddito  complessivo riferibile anche astrattamente alle attività oggetto di emersione. …  Ai sensi del comma 3 dell’articolo 13-bis del decreto, le operazioni  di emersione non possono in  ogni  caso  costituire  elemento utilizzabile  a sfavore del contribuente in ogni sede amministrativa o giudiziaria, civile, amministrativa ovvero tributaria, in via autonoma o addizionale, con esclusione dei procedimenti in corso alla data di entrata  in  vigore  della legge di conversione del decreto legge n. 103 del 2009 (4 ottobre 2009). Ai  soli  fini  tributari,  si ritiene che tale divieto valga con riferimento non solo ai procedimenti direttamente riferibili al contribuente che ha effettuato le operazioni di emersione, ma anche a quelli concernenti soggetti riconducibili al contribuente stesso in qualità di dominus. Pertanto, ad esempio, le operazioni di rimpatrio o  di  regolarizzazione effettuate dal dominus  di  una  società  di  capitali non possono essere utilizzate ai fini dell’avvio o nell’ambito di un’attività di  controllo fiscale nei confronti della medesima società. Allo stesso modo le operazioni di emersione non determinano accertamenti nei confronti dei soggetti interposti attraverso i quali il contribuente ha detenuto all’estero le attività rimpatriate o regolarizzate. Si tratta, in definitiva, di una disposizione che non agisce  sul  piano degli effetti dell’emersione, disciplinati dal comma 4 dell’articolo  13-bis del decreto e in precedenza esaminati, ma che mira ad evitare che lo scudo possa essere utilizzato a sfavore del contribuente ai fini dell’accertamento di violazioni tributarie per le quali non valgono gli  effetti  dello  scudo stesso. Con riferimento agli effetti penali delle operazioni di emersione, si evidenzia che l’effettivo pagamento dell’imposta straordinaria dovuta sulle attività rimpatriate o regolarizzate rende non  punibili  i  reati  indicati nell’articolo 8, comma 6, lettera c), della legge 27 dicembre 2002, n. 289”.

Dalla circolare n. 43/E del 2009 emerge, quindi, con chiarezza, il principio in base al quale le risultanze della dichiarazione riservata non possono essere mai utilizzate ai fini fiscali a sfavore del contribuente che l’ha presentata, non solo se il controllo è effettuato direttamente nei suoi confronti, ma anche se riguarda altri soggetti la cui posizione sia in qualche modo riconducibile allo stesso contribuente.

In definitiva, l’estensione della norma in esame consente alle società di tutelarsi da un eventuale utilizzo a loro danno della «notizia di scudo» posto in essere dal socio detentore di una quota di controllo.

 

IV.            Osservazioni conclusive

Si può  concludere che lo scudo fiscale garantisce:

1)      l’immunità da accertamento, fino a concorrenza degli importi indicati nella dichiarazione riservata;

2)      l’utilizzazione dello schermo per tutti gli accertamenti relativi alle annualità oggetto di sanatoria;

3)      la copertura sia per le imposte sui redditi che per gli altri tributi;

4)      l’efficacia per i soggetti solidalmente obbligati con chi si è avvalso della procedura di emersione, prevedendo che il completamento delle operazioni di emersione preclude nei confronti del dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati ogni accertamento tributario e contributivo.

 



[1] Lo scudo determina la preclusione di ogni accertamento tributario e contributivo (come stabilito dall’articolo 14 del D.L. 350/2001) a prescindere dal fatto che il contribuente dimostri la riferibilità dei maggiori imponibili accertati alle attività emerse. C.T.P. di Rimini (sent. n. 237/02/11 dep. 29/06/2011)

 

 

 

Il commercialista, tra Ici Imu e codici il modello F24 è un vero rompicapo

Modelli F24 ancora nella bufera. Nonostante, infatti, sia sufficiente sostituire la dicitura Ici con Imu e porre il nuovo codice tributo, i problemi per il contribuente e per i commercialisti non mancano, con il rischio di far diventare la dichiarazione dei redditi un vero e proprio rompicato. “Altro che semplificazione – dice a LABITALIA Paolo Moretti del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili con delega alla fiscalità – qui stiamo parlando di complicazione. Noi abbiamo già fatto presente all’amministrazione finanziaria questi problemi. Mi hanno promesso che si lavorerà insieme per cercare di trovare una soluzione, cercando di semplificare la normativa”.

“La verità – sostiene – è che quando il legislatore fa le leggi devono essere sedute al tavolo persone competenti e che sappiano suggerire al legislatore le complicazioni che la norma comporta, ma purtroppo questo non accade”.

“Lo vedono i contribuenti – sottolinea – ma lo stanno vedendo anche i commercialisti. Le complicazioni ci sono eccome. Pensiamo, ad esempio, al fatto che il contribuente dovrà suddividere l’importo nel modello di versamento e variare i codici di tributi. Facile a parole, ma in pratica si corre il rischio di sbagliare”.

“Un altro problema – aggiunge Paolo Moretti – è dato dal calcolo della detrazione che si deve fare sul figlio convivente fino al compimento del 26° anno di età. E’ assurdo. Si poteva benissimo fare la decorrenza ad un periodo successivo rispetto al raggiungimento dei 26 anni”. “Adesso – osserva – uno sta a vedere il giorno in cui il figlio compie 26 anni.. Non solo, se il compimento avviene nel corso del 2012 la detrazione dovrà essere ragguagliata al corrispondente periodo e questo genera ulteriori complicazioni”.

“Noi commercialisti – ammette – ce ne siamo accorti, d’altronde l’Agenzia delle Entrate si è ritrovata con questa normativa fatta in questo modo ed ha predisposto questi modelli così come si potevano predisporre. Speriamo che insieme riusciremo a trovare una soluzione e a rendere meno complesso questo versamento”.